Mezzanotte

Le rughe sulla fronte sono state le prime ad essermi venute, quantomeno le prime che ho notato. Me lo ricordo come fosse ieri e invece sono passati quasi vent’anni. Le guardo adesso e va bene così, non mi disturbano più.

L’orologio sul cruscotto segna mezzanotte, ormai non dovrebbe mancare molto; non vedo ancora nessuno uscire dai cancelli e devo combattere contro me stessa per non scendere dall’auto e piazzarmi all’uscita. L’essere in pigiama è un buon deterrente per non perdere quell’ultimo briciolo di dignità, o meglio, per non farla perdere a lui, che mi ha espressamente chiesto di aspettare qui, un po’ nascosta.

Aspetto e guardo le altre rughe che nel tempo si sono unite a quelle sulla fronte.

Raccontano tante cose: una vita nuova che non credevo avrei mai creato e che invece mi ha riservato tante sorprese e altrettante avventure. Raccontano anche le preoccupazioni e le ansie, comprese quelle di stasera.

Ha voluto andare da solo al suo primo concerto di quella musica che io non capisco. Non capisco quello che per me è solo rumore e non capisco, o forse non ricordo, quell’estrema euforia che lo fa dimenare come un posseduto.

Cavoli, sono proprio una vecchia. Sembro mia mamma, nonostante avessi giurato che mai sarei stata come lei.

Eppure non riesco proprio a ricordare come sono quell’entusiasmo e quell’adrenalina che ti portano a piazzarti davanti ai cancelli ore prima dell’inizio dell’evento. Quella felicità pura e ignorante che ti invade durante le canzoni. Lo stupore e la follia del cantare, se non urlare, il tuo pezzo preferito.

So che devo averlo provato anche io, ormai troppo tempo fa, ma davvero, non lo ricordo.

Saprò mostrargli che, anche se non lo ricordo, lo posso immaginare? Che non sono quella vecchia mamma brontolona che crede? Che, in fondo, non è solo e che quello che sente va bene, bello o brutto che sia?

E lui, saprà trattenere la felicità di questa sera per sempre e portare questo entusiasmo in tutte le cose che farà nella vita?

Fuori c’è movimento, una marea di persone che si espande per strada, senza più controlli da parte della sicurezza. Mi allungo sopra il volante; quanto vorrei scendere dall’auto e correre a cercarlo. E quanto vorrei che lui uscisse correndo, cercandomi come quando usciva dal cancello della scuola elementare, per raccontarmi tutto.

Eccolo invece con quel suo passo lento che spesso mi snerva, l’espressione indecifrabile, come sempre. Apre la portiera, lo guardo in quegli occhi chiari con i miei occhi marroni e stanchi. Mi guarda e mi basta quell’attimo per riconoscermi e riconoscere quella felicità: la stessa di quando era bambino. Pochi anni fa, una vita fa. Non me lo racconterà mai, ma è contento, e lo sono anche io.

“Come è andata?”

“Bene.”

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